PL - Falsini: "Il mio Parma era una collezione di grandi figurine. Quante risate con Asprilla"

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26.05.2020 12:25 di Niccolò Pasta Twitter:    vedi letture
PL - Falsini: "Il mio Parma era una collezione di grandi figurine. Quante risate con Asprilla"
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© foto di Federico De Luca

Ieri sera sul canale Instagram di ParmaLive abbiamo avuto un nuovo ospite, Gianluca Falsini. Con lui abbiamo fatto una lunga chiacchierata in cui abbiamo affrontato vari argomenti, dai suoi inizi a Parma, agli esordi in prima squadra, le parentesi in prestito, la sua nuova vita da allenatore e la Serie A anni ’90. Non sono mancati momenti divertenti, come gli aneddoti su Faustino Asprilla e Nevio Scala, quando Falsini era molto giovane ed era aggregato alla prima squadra. Dopo il video di ieri sera, ecco, questa mattina, il testuale dell’intervista:

Mi racconti i primi anni a Parma, dove hai fatto le giovanili e dove sei riuscito ad esordire in A nel ’94?
“La mia è stata una favola, soprattutto all’inizio. Provenivo da una società dilettante di Arezzo e mi sono catapultato in una città nuova, in convitto, e da fare gli Allievi regionali mi sono trovato a fare la Berretti Nazionale. Quell’anno lì sfiorammo il titolo nazionale, perdemmo contro il Cosenza di Fiore, Miceli, Paschetta proprio all’ultimo minuto. Successivamente inizia la Primavera con Mister Cannata, e ad aprile esordì in Serie A: in 18 mesi sono passato dal campetto di periferia toscano alla Serie A con il Parma di Nevio Scala, Asprilla, Zola, Crippa, Apolloni, grandi campioni”.

Che ti ricordi di quell’esordio?
“Mi ricordo un gran sole, un gran casino, non ci capii granché. Alzai la testa e vidi una fiume di persone. L’anno successivo rimasi ancora a Parma, Mister Scala mi volle trattenere. Inizia il ritiro con la prima squadra ma poi feci quasi tutta la stagione in Primavera. Feci un paio di panchine, poi ricordo che il primo anno di Parma si vinse la Coppa delle Coppe e il presidente Tanzi fece un aereo con tutti noi ragazzi delle giovanili per portarci a Londra a vedere la finale. Mi ricordo tante cose di quell’evento, di aerei non ne avevo mai presi, mi ricordo che c’era Buffon, tanti ragazzi delle giovanili. Fu una metafora della vita, la cosa bella non è la meta ma il viaggio. Poi dopo tre anni di giovanili feci la prima esperienza con i grandi”.

Mi concentro sul tuo ultimo anno, il ’94-95: in quell’anno il Parma vince la Coppa Uefa con la Juve.
“Me lo ricordo benissimo, fu un’annata magica. Mi ricordo la partita di Milano, eravamo in convitto a guardare la partita trepidanti, poi c’era anche Fiore, uno di noi, che aveva esordito.Eravamo parte in causa. Fu un’annata strepitosa, peccato sia mancata la ciliegina in campionato, però era un Parma molto molto forte, che poteva ambire al massimo. All’epoca la Serie A era il campionato più difficile del mondo”.

All’epoca la finale di Coppa Uefa era andata e ritorno: da tifoso, oltre che da calciatore, come hai vissuto l’attesa della gara di ritorno a San Siro?
“All’epoca andavo a fare gli allenamenti quindi l’ho vissuta da dentro. Dopo la partita di andata si respirava un’aria di ottimismo e fiducia, poi come tutti gli eventi quando si arriva in prossimità dell’evento c’è chi reagisce in maniera diversa. Mi ricordo Apolloni che fu uno dei primi a fare il training autogeno: si metteva prima della partita in un angolino, spesso nelle docce, al buio a meditare. Un giorno gli chiese cosa facesse e mi disse che si stava riscaldando con il pensiero. Mi misi a ridere però successivamente ho capito che quello che stava dicendo era vero e moderno. Tutt’ora non ho visto giocatori riscaldarsi così, avere consapevolezza di quello che hai dentro è sempre difficile”.

C’era qualcuno in quel gruppo che ti aveva preso sotto l’ala per farti crescere?
“Mi ricordo che uno di questi era Apolloni, poi anche Melli. Quando venni selezionato per partecipare al ritorno di una partita con l’Ajax in Coppa delle Coppe feci un gol incredibile in allenamento, simile a quello di Van Basten in finale dell’Europeo ’88, e Melli disse: “Ma chi è questo qua?”. Da quel momento mi misi a parlare con lui e mi diede tanti consigli, mi fece capire la sua visione e cosa dovevo fare per diventare calciatore”.

E Scala con voi giovani come si comportava?
“Come un genitore. Nevio è un veneto vecchio stampo, ti dava bastone e carota. Lui sapeva riconoscere il talento di un giocatore, tant’è che sia Fiore che Buffon li ha buttati dentro. Lui impazziva per Hervatin, lo vedeva come vice Di Chiara anche se era giovanissimo e voleva che rimanesse in rosa sin da subito. Considera che in quel ruolo lì c’erano Benarrivo e Di Chiara”.

E Asprilla? Personalmente ti ha mai fatto qualche scherzo?
“Per fortuna no, però ho assistito a tante cose. Una volta mi ha fatto morir dal ridere. Era novembre, facevamo allenamento al parco della Cittadella, dovevamo essere pronti alle 9 al Tardini per iniziare alle 10. Erano tipo le 9.50, ci stavamo preparando per uscire dallo stadio per andare ai pulmini che ci avrebbero portato al parco, e a un certo punto si vede spuntare dalla nebbia Asprilla con le maniche corte e gli occhiali da sole. Tutti ci siamo messi a ridere, Scala lo guarda, guarda l'orologio e gli dice che è in ritardo e che non era professionale. E lui ha fatto un sorrisone e gli ha detto: "Mister, la noche, la noche...". E sono scoppiati tutti a ridere. Era un giocatore straordinario. Una volta eravamo ad Amsterdam per una partita di Coppa delle Coppe. Eravamo a tavola, tutti zitti e concentrati, arriva lui e inizia a cantare. Scala inizia a girarsi verso il massaggiatore, Bozzetti, e gli dice di andargli a dire di stare zitto che deconcentrava gli altri. E Pastorello, il direttore, prende Scala per la mano e gli dice: "Mister, lascialo cantare perché se canta è felice. E se è felice ci fa felici anche a noi”. Tino era un giocatore fantastico, gli ho visto fare delle cose meravigliose. Aveva una vita fuori dal campo a volte poco consona però è stato un giocatore meraviglioso e ho avuto la fortuna di vederlo per anni da vicino”.

Finito il primo ciclo a Parma parti in prestito: fai varie tappe ma forse è all’Hellas che dimostri il tuo vero valore:
“Sono stati anni particolari. Ho fatto il primo anno al Gualdo in C1 dove abbiamo sfiorato la B e dove ho alternato buone partite ad altre meno. Dopo sono andato a Monza e ho vinto il campionato, ho fatto più di 30 partite e sono andato a Padova dove ho fatto il militare a Napoli. Sono sincero, ho fatto vedere solo le mie potenzialità, il mio problema era la continuità. Poi invece a Verona sia in B che in A ho fatto due annate, sia di squadra che individuale, strepitose. Ho avuto la fortuna di avere Prandelli, abbiamo vinto la B, siamo arrivati noni in A e sono stati 24 mesi pieni di sole”.

E poi ritorni a Parma nel 2000, in una stagione particolare. Ho in mente la tua presentazione, insieme a Micoud, nell’anno dell’addio di Crespo:
“Nella vita i se e i ma non servono a niente, bisogna essere pragmatici e dire ciò che si ha fatto e quello che non si è fatto. Parlo per me, Micoud era un ragazzo meraviglioso ma aveva lo stesso problema di Milosevic, un altro ragazzo splendido e intelligentissimo: purtroppo non erano veloci per il campionato italiano. Io non ho avuto la mentalità di giocare in quel Parma lì. Ero vicinissimo alla Nazionale, Trapattoni disse che avrebbe convocato o me o Coco, poi mi feci male e non riuscii ad andare. Sono sincero, non ero pronto per certi livelli e quindi è stata una stagione dove ci sono state buone partite e altre fatte male, e mi dispiace perché ero tornato a casa e la mia famiglia non ha visto il vero Falsini. E’ il rammarico più grande della mia carriera anche perché ero vicino a giocatori fantastici come Cannavaro, Thuram, Buffon, Lamouhi, Boghossian, Fuser che mi aiutava molto…”

Una bella collezione di figurine, tantissimi campioni. E quella Serie A lì non era quella di oggi:
“Lo dicono i numeri. Dei cinquanta già forti al mondo trentacinque erano in Italia. Quell’anno lì è andato via Crespo, un anno prima Veron che era un fenomeno del calcio e non era facile rimpiazzarli. Noi eravamo una collezione di figurine. Mi ricordo la presentazione all’aeroporto di Parma, 5000 persone. Però dopo un mese mi ero accorto che la stagione non sarebbe stata buona. Era una squadra fantastica ma se uno gioca solo per sé stesso e pensa solo ai suoi interessi poi si vede”.

Come l’avevi capito?
“Credo che sia Fabio che Lilian, o Gigi, non si sono comportati com in quei primi mesi lì quando sono andati via. Il pesce puzza dalla testa non subito dal corpo, la società gli ha permesso determinate cose all’inizio ed è stato deleterio per il prosieguo del campionato. Abbiamo cambiato cinque allenatori, l’unico che andava bene era Sacchi che ha avuto problemi fisici e se n’è andato. Di quelli che sono arrivati non andava bene nessuno, solo lui poteva indirizzarci”.

Passarella è durato sei partite, anche quella una scelta strana:
“Scelte strane. C’era solo un argentino, Almeyda che soffriva tanto di pubalgia. Fu una scelta stranissima per tutto, non conosceva l’ambiente, è stata una scelta strana che non ha portato frutti. Mister Sacchi ci stava rimettendo in sesto però purtroppo è durato poco e dopo la barca l’abbiamo fatta galleggiare arrivando in Champions, ma arrivare quarti con quella squadra è un risultato negativo. Poi l’anno dopo sono andati via Thuram, Gigi e anche quello ha inficiato. Loro erano stanchi dell’ambiente, anche della situazione, quando i giocatori si sono visti vendere Crespo e Veron hanno capito che era finito un ciclo e volevano andare via anche loro”.

Poi la sfortuna è stata che i rincalzi, a parte Frey, non sono stati all’altezza:
“Frey è un grande portiere, la sua sfortuna è stata arrivare dopo il più grande della storia del calcio. Se non fosse arrivato dopo Buffon sarebbe annoverato come il più forte portiere passato da Parma, o il secondo. Poi Djetou ha avuto una marea di infortuni, era un culturista che giocava a calcio e Milosevic, con cui io ero in camera, me lo diceva onestamente, diceva che non era adatto al calcio italiano. Lui fece molto bene in Spagna perché era un calcio più lento. Venuto a Parma quell’aspetto ha inficiato, in più io un attaccante che fa benissimo una competizione ma non determina un campionato non lo prenderei mai: ha un rapporto costo/qualità esagerato. Lui aveva fatto capocannoniere a Euro 2000, era un rischio perché aveva fatto bene 6/7 partite, ma era un rischio. Il Parma doveva ricoprire un vuoto importante e voleva un nome che facesse appeal per i tifosi e prendere il capocannoniere dell’Europeo è una mossa buona per il merchandising. Poi c’era Mboma pallone d’oro africano, anche su di lui c’erano aspettative”.

Tu vai via nel gennaio 2002 e vai all’Atalanta. Da lì inizi a fare tante belle cose, alla Reggina e a Siena. E a Siena incontri Gigi Simoni:
“L’ho avuto il primo anno a Siena. L’ho ricordato in questi giorni. A prescindere dell'allenatore, una cosa non si può discutere: la persona. Era un signore, un autentico gentleman, un Gronchi rosa. E’ stato una persona di una correttezza esagerata, mi ricordo quando mi chiamò durante le vacanze perché voleva portarmi a Siena ma c’erano problemi, perché io ero del Parma e a Parma era iniziato il declino economico. Lui mi chiamava e mi spingeva ad andare lì, e me lo diceva facendomi sentire importante ma non indispensabile. Me lo disse come un padre parla a un figlio. Io dopo i due anni alla Reggina volevo rimanere a Parma e ho fatto fatica ad andare via. Anche perché ho l’amaro in bocca per quei due anni, volevo dimostrare che potevo starci in quel Parma”.

A Siena incroci anche D’Aversa. Te lo aspettavi potesse diventare allenatore?
“L’avevo già incrociato a Monza, lui faceva il militare e lì abbiamo giocato assieme. E’ un allenatore emergente che sta facendo molto bene, è partito dalla B con il Lanciano e con il Parma dalla C, sta facendo cose egregie, con anche il suo secondo Tarozzi. Me lo aspettavo per il carisma, perché gli piaceva capirlo il gioco, non me lo sarei aspettato perché quando giocava era poco paziente, aveva l’argento vivo addosso, e voleva tutto subito. Dal punto di vista delle idee e della personalità sì, avrei detto che sarebbe diventato un direttore sportivo, certamente non un procuratore”.

Tu hai vissuto l’ultimo periodo dei “difensori assassini”: il fatto che non si possa più comportarsi come negli anni 90, ha aiutato gli attaccanti che si sono ammorbiditi?
“Ce n’erano tantissimi, Apolloni, Couto, Sensini, Costacurta. Bergomi, Galli, Baresi, non andavano per il sottile. Ferrara, Vierchwood, Bruno, Annoni. Mi ricordo un’immagine, la marcatura di Gentile su Maradona nell’82: 32 falli. E non tutti erano trattenute, erano anche interventi sulle costole. Oggi se fai una cosa così dopo trenta secondi il VAR ti caccia. Il calcio ora è pro a chi ha il possesso palla e contro chi non lo ha. Il calcio è tattica, devo farti credere che sei in dominio della gara e lì ti posso far male”.

E tu come allenatore sei verso la ricerca di cose importanti palla a terra?
“No, a me piace il gioco verticale. Poi se verticalmente ci devo andare con una rete di passaggi o direttamente non importa, devo andare a fare il gol dominando il gioco. Siamo noi a costruirci il pertugio, la giocata per fare gol. A Roma e all’Empoli, ho allenato ragazzi forti su controllo e trasmissione e tutto veniva naturale, ma se davanti ho giocatori veloci non posso fare il tiki taka, come il Parma di D’Aversa che toglieva spazi nella metà campo degli avversari per sfruttare la velocità dei velocisti Gervinho, Biabiany. Roberto sfrutta quello che ha, quest’anno ha giocatori di livelli maggiore e si vede un Parma con un calcio più soddisfacente rispetto al primo anno. L’anno scorso era concreto, quest’anno ha messo un po’ di Barocco”.

Cosa ci dobbiamo aspettare dal tuo futuro?
“Innanzitutto di tornare ad allenare. Mi piacerebbe trovare una prima squadra o una Berretti o Primavera. Speriamo di tornare presto a rivedere il calcio e a tifarlo sugli spalti”.

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