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Asprilla: "A Parma mi trovai subito benissimo. E quando dissi a Scala che non ero mica Forrest Gump..."

di Alessandro Tedeschi

La Gazzetta dello Sport ha intervistato Tino Asprilla, amatissimo giocatore crociato che da sempre segue le sorti del Parma anche dalla sua Colombia: "Come va? Alla grande. Ho un’azienda agricola, vendo canna da zucchero al governo colombiano. E attraverso una campagna pubblicitaria commercializzo preservativi. Sapete, il sesso per me è sempre stato importante...".

E l’impatto con il calcio italiano come fu?
"Fantastico. Al Parma mi trovai subito benissimo. Avevano appena vinto la Coppa Italia e poi assieme vincemmo la Coppa delle Coppe a Wembley e la Supercoppa Europea contro il Milan. Compagni meravigliosi: Apolloni, Osio, Melli...".

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Con l’allenatore Scala, però, ci furono polemiche.
"Io non stavo alle regole. Un giorno mi voleva far correre attorno ai bastioni della Cittadella e gli dissi che non ero mica Forrest Gump. Il calcio, per me, è sempre stato divertimento. Niente regole, niente schemi".

Le sue bravate hanno fatto storia: ricorda quella del gennaio 1995?
"Festeggiai il Capodanno sparando in aria quattro o cinque colpi di rivoltella, che cosa volete che sia dalle nostre parti? Solo che io ero un personaggio famoso, i poliziotti mi portarono in caserma, chiamarono i dirigenti del Parma che dovettero pagare la cauzione. E la domenica dovevo essere in campo perché c’era Parma-Juventus. Diciamo che non mi preparai al meglio".

E quella volta che finì sulle prime pagine dei quotidiani per la relazione con una soubrette?
"Non era vero nulla, mai stato con quella ragazza. Mi misero in mezzo. Però le donne mi sono sempre piaciute, e parecchio. Una volta ho anche posato nudo per un giornale italiano, e il cavalier Tanzi, che mi voleva bene ma andava a messa tutte le domeniche, si arrabbiò moltissimo. Il fatto è che di fronte a una bella donna non so resistere: devo corteggiarla. Infatti, dopo il divorzio da Catalina, non mi sono mai più sposato. Tante relazioni, ma nessuna fissa. Sa che cosa facevo con i miei compagni al Parma?".

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Ci racconti.
"Ci allenavamo in Cittadella, a trecento metri dallo stadio Tardini. Per raggiungere il campo usavamo un pullmino. Alla fine dell’allenamento io mi mettevo alla guida e, anziché rientrare al Tardini per fare la doccia, con altri sei o sette andavamo in giro per Parma a salutare le belle ragazze e le commesse dei negozi. Questo era il mio mondo: libero, puro".

E quando pensò di aver ucciso il presidente Pedraneschi?
"Mamma mia che paura! Per scommessa, da centrocampo calciai forte con l’intenzione di colpirlo proprio in testa, e ci riuscii. Lui cadde, sembrava morto. Non mi diedi pace finché non lo rimisero in piedi".


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