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Da D'Aversa a Liverani, da un risultatista a un giochista. Ma è solo una falsa dialettica

di Giuseppe Emanuele Frisone

Scrivo questo editoriale mentre si sta per consumare il passaggio di consegne sulla panchina del Parma, da Roberto D'Aversa a Fabio Liverani. Mi sembra molto interessante soffermarsi su un aspetto che pare passato un po' in sordina, visto che parliamo di allenatori che nella stagione appena terminata hanno fatto giocare le rispettive squadre quasi agli antipodi. Ed è qui che entra in gioco una narrazione tanto cara alla stampa calcistica mainstream, la dialettica tra giochisti e risultatisti. Un allenatore giochista, come sarebbe Liverani, arriverebbe infatti ai risultati tramite il bel gioco, mentre i cosiddetti risultatisti (come D'Aversa) fanno del pragmatismo la loro miglior virtù. Ma cosa c'è di vero in tutto questo?

Mi verrebbe da rispondere: assolutamente nulla. Mi sembra infatti che questa discussione sia stata coniata più per una questione di "moda" che altro, e si basa su un equivoco abbastanza grosso. Cosa significa infatti giocare bene? Le squadre belle da vedere lo fanno per vezzo o perché effettivamente è il loro modo di essere efficaci? La risposta è, chiaramente, nella seconda parte di questa domanda. Così come un "risultatista" come D'Aversa l'anno scorso ha messo in campo il Parma in un certo modo perché ha ritenuto più efficace giocare così piuttosto che basandosi sul possesso palla. D'altronde questa falsa dialettica è diventata un caso anche per squadre di prima fascia, come con la Juventus di Allegri (spesso accusata di non fare un calcio sufficientemente bello): una volta che i bianconeri sono passati a Sarri, i problemi relativi all'aspetto estetico del gioco non sono svaniti. Anzi. E se giocare bene significa fondamentalmente essere efficaci, cos'è allora davvero il giocare male? La risposta è: giocare in maniera inefficace - e quindi brutta - che alla lunga rende impossibile vincere. Di conseguenza, una buona definizione di giocare bene, più che nell'aspetto estetico, sta nel riuscire ad esprimere ciò che si progetta di fare in allenamento, nel lavoro quotidiano, ottimizzando al massimo il proprio materiale a disposizione.

Concluderei dicendo che il cosiddetto giochismo non esiste. Non dobbiamo commettere l'errore di affibbiare certe etichette a D'Aversa, a Liverani o a qualsiasi altro allenatore. C'è chi ha fatto del sistema di gioco un vero e proprio credo (penso al 4-3-3 di Zeman o al 3-4-3 di Gasperini), ma questo è un aspetto legato più alla rigidità (o flessibilità) di un mister circa un modulo preferito, non alla sua capacità di far giocare le squadre in un certo modo. La filosofia di gioco scelta deve essere un mezzo per raggiungere il risultato, non il fine: l'abilità di un allenatore sta nel capire e plasmare il materiale a sua disposizione. E dirò di più, tra D'Aversa e Liverani possono esserci più somiglianze di quello che sembra. Se l'allenatore abruzzese nelle sue conferenze stampa insisteva sempre e comunque sull'atteggiamento, Liverani è un tecnico che punta tantissimo sull'aspetto psicologico, sulla cosiddetta testa dei giocatori ("Approccio e gestione psicologica di una squadra di calcio" era il titolo della tesi con cui ha conseguito il patentino a Coverciano). Insomma, non aspettiamoci a tutti i costi del calcio champagne dal nuovo allenatore: auguriamoci più che altro che l'intuizione del nuovo ds Carli possa funzionare, per voltar pagina nel modo migliore dopo quasi quattro anni di D'Aversa sulla panchina crociata.


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